Il perdono, dato e ricevuto, è il rovello dei giovani. Forse nessuno studio l’ha messo in luce tanto bene come le domande alle catechesi di questi giorni. Prendono il microfono, e chiedono al vescovo catechista come si fa a perdonare quando la ragione ti dice il contrario. Monsignor Pietro Santoro i giovani li conosce come pochi: s’è fatto tutte e 31 le edizioni della Gmg nelle diverse vesti della sua vita, fino a quella attuale di vescovo di Avezzano. E questo tormento giovanile lo accoglie ascoltando le domande che tornano e ritornano sul tema. La chiesetta di Santa Margherita a Raciborowice, campagna a qualche chilometro da Cracovia, è colma di giovani abruzzesi e siciliani. Santoro sa dov’è la ferita: “Siamo perdonati per perdonare, riceviamo amore per essere amabili, ci viene donata misericordia per donarla integralmente. Il Vangelo non contempla la reciprocità, piaccia o no”. Certo, “chi perdona è destinato a essere un perdente. Come Cristo…”. Battuta che ispira una preghiera: “Perdonami, perché sia capace di perdonare”. Offrire misericordia “interrompe inevitabilmente la catena dell’odio, chi non perdona diventa corresponsabile del cumulo di male che c’è nel mondo”. Santoro si spiega ancora meglio: “La mancanza di pace è la somma di tutte le nostre incapacità di offrire perdono. Se non mi riconcilio con l’altro, è inutile che mi scandalizzi per i diritti umani negati”. Ma come si impara a farlo? “Consegnate le chiavi della vostra vita a Cristo – risponde -. Siamo in un mondo di ladri di chiavi, quelli che ci rubano l’anima e il Vangelo sostituendolo con il nulla”. Per questo al Signore va domandato di “scardinare le nostre porte blindate, quelle dei peccati che reputo imperdonabili, delle facili autoassoluzioni, della dogana che decide chi far passare e chi no, della cattedra dalla quale pensiamo di insegnare e disporre…”. La Gmg allora non sarà una “kermesse religiosa”, ma “come un surf ci riporterà dalla cresta dell’onda alla nostra quotidianità”, là dove “cominciare a preparare i tempi nuovi dentro di noi, come scriveva l’ebrea Etty Hillesum”, così da “fare di ogni giorno un’eco di questi giorni”.
(Francesco Ognibene)